sabato 18 aprile 2009

Una centenaria storia di vetro


Entrare nello Studio Moretti Caselli in Via Fatebenefratelli al civico 2, a Perugia, significa penetrare in un altro mondo che è preannunciato, già esternamente, dall'aspetto severo del Palazzo che lo ospita. E' , infatti, come scopriamo in seguito dal racconto di Maddalena Forenza, un edificio appartenuto all'antica famiglia dei Baglioni, l'unico salvato dall'intervento demolitivo di Paolo III per la costruzione della Rocca Paolina, e conserva ancora esternamente l'austerità della pietra medioevale.
Fu acquistato da Francesco Moretti, iniziatore dell'attività artistica, nel 1894 e già nell'anno successivo divenne operativo ospitando nei suoi locali la lavorazione del vetro che il Moretti aveva già avviato da più di trent'anni. Conserva quindi tutto il sapore di una storia centenaria che fanno della visita a questo Studio di Vetrate Artistiche qualcosa che non si limita all'ingresso in un laboratorio d'arte, ma che assomiglia di più ad un viaggio nel passato, in mezzo a vecchi strumenti, a calchi di gesso, a cartoni invecchiati dal tempo, ad antichi arredi. Tutto mostra quanto sia grandioso l'ingegno umano quando prende sul serio un'inclinazione artistica e la trasforma in professione, esigendo serietà e soluzione ai problemi che via via si presentano. Mentre ci si muove, un passo dietro l'altro con circospezione e con timore di provocare qualche danno, questo mondo antico comincia a sgorgare silenzioso tra vecchie armature, leggii, arcolai e ad entrare nelle vene, nei polmoni e nel cuore e vi pare ancora possibile imbattervi di sorpresa nel professor Moretti al lavoro con suo nipote Ludovico Caselli e i suoi assistenti in mezzo ad ampolle di colori, tra i vecchi libri della biblioteca o indaffarati alle trafile di piombo.
Attraverso una successione familiare inaugurata da Rosa e Cecilia Caselli che alla morte del padre, nel 1922, si assunsero la responsabilità della conduzione della ditta e proseguita da Anna Maria Falsettini, loro nipote, lo Studio vanta quindi quasi 150 anni d'attività che oggi viene ancora guidata con successo dalle figlie di Anna Maria, Maddalena ed Elisabetta Forenza.

Siamo andati ad intervistarle per conoscere direttamente da loro qualcosa di più di quello che abbiamo potuto apprezzare sfogliando il loro bel sito web.

Fin da piccole avete convissuto, volenti o nolenti, con gli oggetti, le opere d'arte, le vetrate, i forni, le tecniche che la vostra famiglia ha da sempre custodito. Come avete vissuto il rapporto con questa tradizione?

Da piccole non ci rendevamo conto che il posto dove giocavamo mentre la mamma dipingeva fosse un luogo così importante, ricco di storia e tradizione.
A volte ci infastidiva e ci metteva in difficoltà non avere una mamma con un lavoro "normale", era difficile spiegare solo con le parole il mestiere del mastro vetraio.
Il ricordo che abbiamo più presente è quello dell'odore di essenza di trementina che aveva la mamma quando ci abbracciava.
Crescendo abbiamo pian piano capito l' importanza di quello che ci circondava.

Che cosa ha fatto scattare in voi la possibilità di dedicarvi a questo lavoro decidendo di mettervi nel solco della tradizione dei vostri nonni?
La decisione di continuare questo lavoro, è arrivata per gradi ed a volte è stata sofferta!
Un insieme di motivi, soprattutto l'amore per l'arte e il forte legame con lo Studio-laboratorio, ci hanno portato fin qui, sempre temendo di non essere all'altezza di chi ci ha preceduto.

Entrando nel vostro Studio sembra di entrare in un mondo antico regolato da leggi che, oggigiorno, il mondo del fast, del tutto subito, non vanno più di moda. Cosa significa per voi il rapporto con il vostro lavoro fatto di pazienza, di attesa, di precisione, di costanza, di creatività, di manualità...?
La frenesia che tutti hanno quando ci commissionano un lavoro ci crea uno stato di ansia perenne. Proprio per i motivi elencati a volte ci sentiamo delle privilegiate fuori posto... con la paura che un giorno verremo comunque assorbite dal mondo frenetico di oggi.

I giovani si interessano al vostro lavoro? Avete avuto contatti con ragazzi interessati ad apprendere l'arte della vetrata artistica?
I giovani interessati non sono così numerosi, sono attratti molto di più da internet, telefonini e centri commerciali.
Il vero interesse lo notiamo fra i ragazzi delle scuole medie che sono felici di poter partecipare ai laboratori didattici che organizziamo.

Come vedete la situazione dell'artigianato artistico nella nostra città?
Noi crediamo che sia stata fatta molta demagogia sull'artigianato artistico. I politici ci usano a loro piacimento per la loro visibilità.
Crediamo che veramente di noi non interessi che a pochi.

Quali prospettive vorreste suggerire?
Avremmo il desiderio di poter avere dei luoghi messi a disposizione gratuitamente tutto l'anno dove esporre e vendere i nostri manufatti artistici: accanto ai musei per esempio!
Vorremmo essere più considerate dalla Soprintendenza, dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione per quanto riguarda i restauri che molto spesso e troppo spesso, vengono fatti effettuare da ditte che lavorano in altre regioni.
Ci piacerebbe che il Comune organizzasse un evento solo ed esclusivamente per gli artisti-artigiani della città e che, attraverso sponsor etc., fornisse i luoghi, gli stand e tutto l'occorrente in modo da non gravare sull'artigiano con spese che non può sostenere.

Quali orizzonti intravvedete per il vostro lavoro?
Gli orizzonti a volte sono neri, la burocrazia ci impedisce di avere il tempo di lavorare e lavorare bene significa concentrarsi su quello che si sta facendo, avere la mente e le forze creative per produrre cose belle, uniche, che emozionino sia l'artista sia il committente.

Sui volti delle due ragazze compare un'ombra d'apprensione: è chiaro che la vita non è facile, che i problemi sono tanti e che l'insieme delle problematiche rischia di distrarre dal contenuto vero del lavoro, la parte che amano di più e che le ha convinte a giocarsi in quest'avventura più grande di loro. Tutto ciò è da metter in conto ed aggiunge valore al loro coraggio e alla loro passione per proseguire questa grande opera al di là di ogni incomprensione e riconoscimento. Lo sappiamo, attualmente il lavoro dell'artigianato artistico è costellato di sacrificio, di fatica e di sofferenza. La concorrenza dell'industria avanza vertiginosamente e non è facile entrare sul mercato con prodotti che nascono da un lavoro manuale attento e meticoloso che spesso l'acquirente non riesce a valutare accontentandosi di un manufatto più a buon mercato.

Ritorneranno i tempi dell'Arts & Crafts di William Morris quando a Londra l'artigianato artistico si gloriava di un posto d'eccezione all'interno della società inglese?
Ritorneranno i periodi d'equiparazione tra arti maggiori e applicate propugnata dal Liberty o dalle Secessioni che avevano lanciato il gusto dell'opera curata e originale?

Per ora la situazione è preoccupante anche per la denunciata sordità degli enti di governo del nostro territorio.
Ma il fascino di questo antico laboratorio d'arte rimane assolutamente intatto e ci parla di passione, di pazienza, di gusto per il lavoro ben fatto, rare perle che fanno del Moretti Caselli e della nostra città qualcosa di unico al mondo

Le immagini sono tratte dal sito http://www.studiomoretticaselli.it/

giovedì 9 aprile 2009

Il Pintoricchio di S.Maria dei Fossi: una meditazione da vedere

A chi cercasse nell'arte custodita nella nostra città, in questi giorni di Pasqua, qualcosa di attinente al mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo proponiamo di far una capatina alla Galleria Nazionale dell'Umbria e di fermarsi davanti alla grande Pala di S. Maria dei Fossi realizzata da Bernardino di Betto, detto il Pintoricchio o Pinturicchio, come si dice a Perugia. La Pala, esposta anche in occasione della mostra monografica dello scorso anno, sebbene a prima vista non sembri, costituisce una "meditazione visiva" sulla Passione di Gesù "per esaltare l'eccezionalità del mistero del sacrificio del Figlio di Dio per la remissione dei peccati dell'uomo" (Mancini).
L'opera, dipinta in due anni dal 1496 al 1498, costituisce uno dei risultati più prestigiosi e commoventi della maturità di Pinturicchio, reduce in quegli anni, dall'impegnativo lavoro di decorazione degli Appartamenti Borgia in Vaticano. La maestosità dell'impianto architettonico della pala è mitigata dalla luminosità dei volti, dalla dolcezza degli atteggiamenti, dalla preziosità dei costumi.
Il grande polittico ci accoglie con un’epigrafe latina ammonitrice: "Aspice...", "Guarda, o mortale,da quale sangue sei stato redento. Fa' che non sia scorso invano!". Nella cimasa appena sopra, infatti, due angeli piangenti, splendide e commoventi figure, ci mostrano, sorreggendolo, il corpo martoriato di un Gesù già entrato nel sepolcro, con le ferite dei chiodi e della lancia dalle quali esce sangue in abbondanza: l’immagine è drammatica e serena allo stesso tempo perché sottolinea l’obbedienza di Gesù al mistero del Padre.
Interessante notare come questo "Aspice..." con cui inizia l'iscrizione ricalchi lo stesso incipit dell'iscrizione della Fontana Maggiore: "Aspice qui transis jucundum vivere fontes, si bene prospicias mira videre potes" (Vignaroli). Tutto inizia sempre dallo stesso verbo: guardare, è la prima richiesta. Non è "fare"!
Al centro campeggia, in una grande tavola, una splendida Madonna in trono con il Bambino e un piccolo San Giovanni Battista che offre a Gesù una croce d'oro gemmata posta all'estremità di uno stelo sul quale è arrotolato un cartiglio con la scritta: "Ecce Agnus Dei". Maria, vergine madre (la stella sulla spalla), è raffigurata mentre sta amorevolmente chinando il capo verso suo figlio e nell’atto di reggere il melograno. Il Bambino guarda verso San Giovannino e, mentre con la destra afferra la Croce che il santo gli porge, con la mano sinistra mostra i rossi chicchi del melograno spaccato, simbolo dell'amore fino al sacrificio. La scena vien meglio svelata dalla complessa iscrizione sottostante che recita: "O Santo Fanciullo, rimetti al Fanciullo questa croce. Non la porterà [San Giovanni] a Dio in favore del mondo: ci sarà un altro" (Acidini Luchinat). Il Fanciullo Gesù è quindi l’obbediente al Padre e questa sottomissione libera al disegno di Dio avviene tra le braccia di Maria dipinta con il capo reclinato nella stessa posizione del Cristo morto della cimasa a indicare la sua compartecipazione a Gesù nella Passione. L'Annunciazione, ricordata dai due riquadri a lato, ci rammenta quanto il suo sì abbia costituito il punto di partenza dell'amoroso progetto di Dio verso l'uomo poiché in lei Cristo si è umanato, come si esprimeva la Beata Angela da Foligno.
Sul pavimento in basso, con reminiscenza fiamminga, Pinturicchio sistema alcuni stupendi simboli: la Bibbia che conserva la storia del rapporto sempre ricreato tra Dio e l’uomo e alcuni frutti; la noce con il mallo, segno delle due nature di Cristo, umana e divina, e simbolo della sua Passione per la parte legnosa che ricorda il legno della Croce. La mela, ricordo del peccato originale, cui Cristo, nuovo Adamo, vuol porre rimedio.

L’obbedienza al disegno misericordioso di Dio sulla storia umana sembra essere quindi il grande tema della pala: l’obbedienza di Cristo al Padre resa possibile dall’obbedienza di Maria con il suo sì all’Annuncio dell’Angelo.
E’ questo mistero di amore che ha costituito il centro della meditazione e dello studio dei due grandi Santi e Padri della Chiesa che concludono le bande laterali della tavola centrale: S.Agostino e S.Girolamo. Il primo, il Vescovo di Ippona, è tutto concentrato a meditare, appunto, su di una mela simbolo del peccato originale dell’uomo e su tutto ciò che è derivato da essa: l'impossibilità dell'uomo a raggiungere il suo compimento e l'inarrestabile iniziativa di Dio. Un mistero così grande e insondabile che la mente umana ci si perde dentro per quanto è immenso. Nella predella sotto di lui è raffigurato, infatti, l’aneddoto del bambino incontrato da S.Agostino sulla riva del mare mentre stava meditando sul mistero dell’amore di Dio per l’uomo fino al sacrificio sulla Croce. Il bambino, scavata una buca nella sabbia, cercava con un cucchiaio di versarvi dentro tutta l’acqua del mare. E sant’Agostino: “Ma come puoi pensare di racchiudere il mare, che e’ così grande, in una buca che e’ cosi’ piccola?”. Il bambino alzò gli occhi, lo guardò fisso in volto e rispose: “E tu come puoi pensare di comprendere Dio, che è infinito, con la tua mente, che è così limitata?!”. Detto questo, sorrise e scomparve.

Lo scomparto di destra è occupato da S. Girolamo, eremita e Cardinale, traduttore dal greco al latino della Bibbia detta Vulgata.
È rappresentato, infatti, come un porporato con in mano la Bibbia, l'immancabile leone in secondo piano e il probabile modellino della chiesa di S. Maria dei Fossi. Nella predella lo ritroviamo in ginocchio, in preghiera davanti al Crocifisso, quando viveva da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo e teneva una pietra in mano che cadeva quando si addormentava richiamandolo di nuovo all’orazione.
A fianco, nei medaglioni, i quattro evangelisti.

Dunque, uno dei gioielli di raffinata pittura cinquecentesca com'era quella di Bernardino di Betto, custodito in quell'immensa miniera di capolavori artistici che è la nostra Galleria Nazionale.
Un'opera monumentale che, come tutte le grandi imprese pittoriche, è capace di dialogare ancor oggi con qualsiasi visitatore coinvolgendolo, se vuole, nel suo messaggio che trasuda di richiami di fede.

Tutte le immagini sono tratte dai siti www.mostrapintoricchio.it e www.civita.it